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Insegnamento dell’Arcivescovo Leo su Dt 16, 18 –20 Roma, 22 gennaio 2019

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo!

La settimana della preghiera per l’Unità dei Cristiani ci ha uniti per incontrarci gli uni con gli altri e camminare un momento insieme qui nella città eterna, dove secondo il proverbio medioevale, “tutte le strade ci portano”. Non solo ci accontentiamo di gioire dell’incontro, ma il nostro compito è anche quello di esaminare la nostra relazione con Dio, il nostro Creatore, e con il nostro vicino. Ci conduce il tema di questo anno della settimana di preghiera, i doveri dei giudici in Deuteronomio, nell’Antico Testamento: “Siate onesti e giusti”.

Aristotele già sosteneva che l’uomo ha naturale tendenza di volere il bene. Invece per Platone la parola greca “diacaiosyne”, che di solito si traduce con la giustizia, aveva più ampio significato e ricordava piuttosto il moderno pensiero sulla morale. Riflettendo sul suddetto messaggio di Deuteronomio: “Non lederai il diritto, non avrai riguardi personali e non accetterai regali, perché il regalo acceca gli occhi dei saggi e corrompe le parole dei giusti. La giustizia, e solo la giustizia seguirai, per poter vivere e possedere la terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti” (Dt 16, 19-20) constatiamo che ci parla di valori, virtù e principi della legge che non solo i giudici, ma anche ognuno di noi deve osservare nella nostra vita quotidiana.

Tutte le vie ci portano a Roma e ai romani serviva la rete della strada ben organizzata per trasferire efficacemente le truppe. Numerosi invasori sono passati su queste strade. Che cosa poi significa la giustizia, quando essa non tocca più l’onore cercato dal soldato? La stessa domanda si fa pure nella letteratura drammatica della Grecia antica, specialmente nell’opera “Oresteia”

La giustizia fa parte delle cose strane che si notano meglio, quando ci mancano. Nelle nostre società l’opinione pubblica sostiene la giustizia, anche se sottolinea di opporre l’ingiustizia. Oggi chiamare qualcosa ingiusta è diventato un comune e forte modo di esprimere la morale di obiezione. Si sente che oggi si sottolineano fortemente solo i diversi privilegi, anziché la giustizia.

Ogni epoca ha avuto le sue differenti definizioni sulla giustizia. “Il retto è tanto quanto i suoi incorrotti fatti e i suoi fatti onesti sono le sue rettitudini” dice il Maestro Eckhart, il teologo tedesco parlava negli anni 1200 – 1300. Nel medioevo particolarmente ispirato da Tommaso d’Aquino si mettevano in evidenza le virtù cardinali, che ci aiutano ad organizzare i piaceri. Oggi vediamo la giustizia appartenere ai diritti dell’uomo, che poi sono diventati un comune criterio umanistico, il quale funziona come il gomitolo di Arianna nel labirinto del moderno pluralismo dei valori. Ma anche se la sapienza, la giustizia, la temperanza e la fortezza sono cardini della vita morale, ci sono altre tre virtù grazie alle quali oggi ci siamo radunati – care sorelle e cari fratelli in Cristo – cioè la fede, la speranza e l’amore.

Le virtù cardinali ci aiutano ad essere buoni in questo mondo, ma le virtù teologali ci preparano alla vita eterna dell’aldilà. Grazie a loro possiamo, secondo le parole dell’apostolo Pietro (2 Pt 1,4), dare persino uno sguardo al mondo che verrà per “diventare participi della natura divina”. Oggi è confortante ricordare che il Figlio di Davide è molto più forte di uno del suo tempo o dei governatori romani o di altri governanti arrivati con le truppe, che hanno vissuto dopo lui. Le strade di Roma hanno anche portato la Pax Romana, la pace romana che manteneva lontano le guerre. La pace che ha portato Gesù supera la capacità comprensiva dell’uomo. Essa è gioia, amore tra gli uomini e cura, preoccupazione, carità e filantropia. Essa è equilibrio nel più intimo dell’uomo e nella relazione tra l’uomo e il mondo di fuori. La pace significa soprattutto che tutti hanno la loro dignità umana, essendo chiunque o uno qualsiasi. “O Signore … fammi vivere secondo i tuoi giudizi” si dice nel Salmo 119 (Sal 119,156) Tutti noi siamo stati invitati alla comune responsabilità sul bene comune. 

Pensando all’invito di Deuteronomio: essere giusto, mi chiedo ogni tanto se ci accorgiamo di cosa succede attorno a noi stessi, nel mondo che ci circonda? Come sono l’onestà, la giustizia e i diritti umani? Siamo pronti ad stenderli sul tavolo della mia vita per la valutazione? Quanto aperta, o quanto chiusa e riservata è quella tavola attorno a cui sediamo? Si dice nella Bibbia che siamo a Dio synergos – cioè colleghi o collaboratori. Siamo i collaboratori di Dio, che Lui possa lavorare nel più intimo di noi e attraverso noi. Tutto ciò che facciamo deve essere l’opera di Dio in noi e attraverso noi, affinché gli uomini conoscano la grazia del nostro fare con Dio, conoscano Cristo e sappiano come ci amiamo e come totale è l’amore di Dio per noi, e per mostrare ciò dobbiamo essere gli strumenti nella mano di Dio. Allora operiamo e viviamo sicuramente secondo giustizia. Il livello della collaborazione sarebbe il criterio della giustizia. Gli uomini sono consapevoli se non collaboriamo con Dio, e anche se distribuiremmo in quantità i pasti agli affamati, anche se la nostra tavola fosse grande e sempre aperta, gli uomini notano se non facciamo tutto questo con amore. E quando facciamo qualcosa senza amore, la nostra misura non vale per Dio, come Gesù parla sulla montagna: “Come giudicate sarete giudicati voi e con quale misura misurate sarà misurato a voi”. (Mt. 7,2 – 3).

Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha detto bene che le radici della Chiesa sono nell’annuncio che Dio ha dato al popolo di Israele. Il Santo Padre Paolo VI ha dichiarato in un discorso del 1968 che: “la base della giustizia è la religione, che proclama che tutti gli uomini sono figli dello stesso Padre, sono fratelli”. Dopo migliaia di secoli, dalla lontana Terra Santa sentiamo l’entusiastica voce del cantatore dei salmi che annuncia come grande è il Signore e misericordioso.

Termino il mio discorso come ho anche iniziato, indicando le strade di Roma. Le strade di Roma hanno retto molto. Loro hanno portato i numerosi Apostoli in diverse parti del mondo, Paolo all’Aeropago di Atene, Pietro qui in Roma e Andrea a Costantinopoli. Ma noi cristiani non siamo chiamati ad andare come conquistatori nel mondo, invece siamo chiamati ad amare e dare la vita. In questa situazione la croce e la resurrezione si vedono in una luce migliore come incoraggiamento e come sfida ora e domani. Amen.   

 

 

 

 

 

 

 

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